LA LETTERA CON LA QUALE COLOMBO ANNUNCIA LA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO
STUDIO STORICO PER L'EDIZIONE FACSIMILE
La Lettera con la quale Colombo annuncia la Scoperta del Nuovo Mondo è, come ha affermato lo storico Carlos Sanz, il documento più importante della Storia dell'Umanità. Tale affermazione trova il suo fondamento non solo nella rilevanza della notizia che tale Lettera contiene, ma anche nell'importanza del fatto storico per l'avvenire di tutti gli abitanti del pianeta Terra, sulla cui superficie è trascorsa da allora l'esistenza di milioni di uomini per successive generazioni. In un breve testo, la sua estensione non supera infatti le quattro pagine, Cristoforo Colombo dà vita, attraverso un resoconto che desta meraviglia per originalità, scorrevolezza e piacevolezza, alla descrizione delle terre e delle popolazioni scoperte sull'altra sponda dell'oceano Atlantico. Il testo dell’edizione a stampa è quello delle lettere, tra loro identiche, che il Navigatore aveva inviato, pochi giorni prima, a Luis de Santángel e a Gabriel Sánchez, entrambi alti funzionari presso la Corte. Il contenuto è inoltre il medesimo di quello della lettera che l'Ammiraglio aveva indirizzato direttamente ai sovrani Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona.
I fatti descritti nella Lettera abbracciano il periodo compreso tra il 3 agosto del 1492, giorno della partenza della “nao” Santa Maria e delle caravelle Pinta e Niña dal porto fluviale di Palos de la Frontera, e il 15 marzo del 1493, data dell'arrivo trionfale delle due caravelle allo stesso porto che le aveva viste partire sette mesi prima. Il testo della Lettera è un estratto del Diario del Primo Viaggio, diario che Cristoforo Colombo, rispettando l'impegno preso con i Sovrani, aveva redatto giorno dopo giorno nella solitudine della sua cabina sulla tolda della Santa Maria. Potremmo dire che Colombo era dotato dell'istinto di un giornalista sperimentato dei nostri giorni, poiché tra le pagine del Diario scelse quei passaggi che sapeva avrebbero maggiormente colpito i lettori.
Il testo prende l'avvio con l’annuncio della scoperta delle nuove terre. Da quell’annuncio deriva la necessità di comunicare la notizia agli abitanti della Spagna e dell'Europa in generale. La difficoltà della scoperta è contenuta in una breve frase, nella quale il Navigatore spiega di aver attraversato l'Oceano, inviato dal re Ferdinando e dalla regina Isabella, con una piccola flotta di tre navi, anche se egli utilizza il roboante termine di “armata” per riferirsi alle tre piccole imbarcazioni scelte per la missione. Riferisce una durata del viaggio di trentatré giorni, mentre in realtà furono trentasei, dal momento che la flotta partì da La Gomera il 6 di settembre e arrivò a San Salvador il 12 di ottobre. Un errore solo apparente, che lo stesso Colombo ci spiega affermando che per tre giorni l’assenza di vento lo aveva bloccato al largo delle isole. In questo modo i giorni restavano trentatré, un numero simbolico con un forte significato spirituale, chiaro riferimento all’età di Cristo crocifisso, che serviva a sottolineare il senso altamente religioso del viaggio di scoperta. Non dobbiamo dimenticare che il Diario del Primo Viaggio inizia con l’invocazione In Nomine Domini Nostri Jesu Christi e così prosegue: “Le Vostre Altezze, in quanto cattolici cristiani, principi amanti della santa fede cristiana e desiderosi di espanderla, e nemici della setta di Maometto... pensarono di inviare me, Cristoforo Colombo, alla volta delle Indie per vedere i suddetti principi e i popoli e le terre e la conformazione di quelle e di tutto il resto, e (per vedere) il modo che si possa usare per la conversione di quelle alla nostra santa fede...”.
Cristoforo Colombo, in quanto grande conoscitore dell'opera Il Milione o Il libro delle Meraviglie di Marco Polo, testo che conteneva informazioni rilevanti sul continente asiatico che lui desiderava raggiungere con la traversata oceanica, era convinto che i sudditi dell'Imperatore Kublai Khan avrebbero accolto con entusiasmo l’arrivo di alcuni europei arrivati per portar loro la propria religione. Secondo quanto aveva potuto leggere, poco prima che i fratelli Matteo e Niccolò iniziassero il viaggio di ritorno in Europa dopo un lungo periplo attraverso la Cina, il Gran Khan consegnò loro una lettera destinata al Papa, nella quale sollecitava l'invio di cento uomini dotti nella fede cristiana affinché istruissero i suoi sudditi. L'Ammiraglio inizia la Lettera con la quale annuncia la scoperta del Nuovo Mondo dichiarando che il successo del viaggio è stato concesso da Nostro Signore. Queste parole confermano l'importanza da lui attribuita all'ispirazione cristiana della sua missione: la diffusione della fede di Cristo nelle terre nelle quali fosse arrivato.
Come conseguenza, la prima isola che scoprì fu battezzata con il nome di San Salvador, in ringraziamento a Sua Alta Maestà, usando le parole di Colombo. La seconda, per lo stesso motivo, sarà chiamata Santa Maria della Concezione. Dopo aver espresso il proprio ringraziamento verso Dio e la Vergine, alle seguenti tre isole sarebbero stati assegnati nomi in omaggio alla famiglia reale: Fernandina, Isabella, Juana (quest’ultimo non avrebbe avuto successo in quanto fin da subito tutti avrebbero nominato l'isola con il termine di Cuba, seguendo l’uso degli indigeni).
Raggiunta l'isola di Cuba durante il primo viaggio, dopo aver dovuto aggirare le isole Lucayas (o Bahamas), Colombo ne costeggiò la costa settentrionale fino a quando, rendendosi conto che lo avrebbe condotto sempre in direzione nord-ovest, mentre il suo desiderio era di esplorare in direzione sud, decise di ritornare. Fino a quel momento aveva già percorso 107 leghe (428 miglia) lungo la costa nord dell'isola, un percorso che dovette ripercorrere in senso contrario. Durante la navigazione verso Ponente, mentre attraversava lo stretto di 18 leghe (72 miglia) che separa Cuba da una nuova isola, alla quale pose il nome di Hispaniola, si verificò la separazione di Martín Alonso Pinzón, il quale si allontanò approfittando dell'oscurità notturna, nonostante i segnali che dalla Santa Maria gli venivano inviati con il fanale di poppa. Era il 21 di novembre e la caravella Pinta continuò a navigare per 46 giorni in forma indipendente, provocando la forte irritazione dell'Ammiraglio verso il comportamento disobbediente del suo capitano, prodottosi mentre esplorava le coste sud dell'isola. Martín non riprese il suo posto fino al 6 di gennaio, quando Colombo aveva già deciso di iniziare il viaggio di ritorno. Della disobbedienza di Martín Alonso, così come della perdita della Santa Maria, non scrisse nulla nella Lettera.
Al termine del suo primo viaggio Colombo aveva maturato l'idea di aver scoperto solo delle isole, e questo è quello che scrive nella Lettera. Nel futuro l’incertezza maggiore riguarderà Cuba. Inizialmente aveva pensato trattarsi di una regione del Cathay, ma in seguito si convinse di aver raggiunto solo le isole che si trovavano di fronte alle coste dell'Asia. Un anno più tardi, quando nel suo secondo viaggio ne esplorò la costa meridionale, cambierà di opinione al rendersi conto della sua notevole estensione longitudinale. Questo avvenne quando, per la stanchezza degli uomini e l'esaurimento delle scorte, ordinò di ritornare indietro, dopo aver percorso 333 leghe senza averne ancora raggiunto l'estremità.
Nella Lettera Colombo riporta il dato della lunghezza della costa settentrionale di Hispaniola, che calcola essere di 188 leghe (720 miglia). Descrive gli approdi favorevoli, i numerosi fiumi che sfociano al mare, la bellezza della vegetazione rigogliosa, gli alberi molto frondosi e la varietà sorprendente dei diversi tipi di palme, mai visti prima. A tutto ciò faceva da sfondo il canto armonioso di innumerevoli uccelli. Nella Lettera indirizzata ai sovrani sottolinea inoltre l'altezza delle montagne e la fertilità delle valli, i cui terreni ritiene particolarmente adatti a numerose varietà di coltivazioni e all'allevamento ed in grado, pertanto, di alimentare una popolazione numerosa. Parla anche dell'abbondanza dell'oro, cui nel Diario del Primo Viaggio vi sono frequenti riferimenti.
La parte centrale della Lettera, quella cui Cristoforo Colombo dedica maggiore attenzione e che senza dubbio avrebbe suscitato l'interesse maggiore, tanto nei monarchi quanto nelle migliaia di lettori che la lessero, è la descrizione degli abitanti e delle loro usanze. Una descrizione dettagliata che mette in luce la bellezza dei loro visi e l'agilità dei corpi notando che “... sono del colore degli abitanti delle Canarie, né negri né bianchi...”, come aveva già scritto nel Diario con espressioni quasi identiche. Informò il re e la regina di come avesse cercato di guadagnarsi l'amicizia degli indios per mezzo di regali, pensando che sarebbe stata la strada migliore per convertirli al cristianesimo. A questo scopo diede ordine ai suoi uomini di trattarli bene e che, a cambio dei regali che gli indios donavano con piena generosità, venissero distribuiti quegli oggetti portati dalla Spagna proprio con questo fine. Si dimostrò favorevolmente colpito dal loro comportamento pacifico, notando che non portavano nessun tipo di arma, ad eccezione di canne a un’estremità delle quali collocavano una punta affilata. Sottolineò anche il rapporto armonioso con l'ambiente naturale in cui vivevano.
L'Ammiraglio descrisse quelle genti come fornite di una naturale predisposizione alla bontà. Per tutta la durata del loro incontro accolsero pacificamente gli spagnoli e poiché li ritenevano inviati dal Cielo, uscivano loro incontro portando cibo e regali. Fin dal primo momento Cristoforo Colombo diede ai nativi di quelle terre il nome di indios, poiché riteneva vivessero nelle isole che fronteggiavano le coste del continente asiatico, di cui l'India era una delle regioni principali . Leggendo quelle descrizioni, le più belle del resoconto, non è difficile pensare che i lettori si sarebbero convinti che la piccola flotta di Colombo avesse raggiunto una terra paradisiaca, nella quale esistevano creature pacifiche e di animo buono, le quali vivevano in luoghi bellissimi senza conoscere la fame, le malattie e le guerre.
Se la descrizione di quelle terre, ricoperte da una vegetazione lussureggiante e nelle quali vivevano indigeni pacifici, presentava una visione idealizzata, tuttavia, in uno scenario tanto meraviglioso, faceva capolino l'ombra della malvagità. Per quanto non li avesse visti con i propri occhi, l'Ammiraglio scrisse a proposito dei caribe e delle loro scorribande nelle isole caraibiche. Erano informazioni che gli provenivano dai suoi interlocutori indigeni: attraverso gli interpreti che accompagnavano gli spagnoli a bordo delle loro imbarcazioni venne a sapere che abitavano su un'isola a levante di Hispaniola. Da lì, a bordo di grandi canoe capaci di affrontare il mare aperto, percorrevano grandi distanze per sbarcare di sorpresa sulla costa e catturare decine di pacifici tainos, che a stento potevano difendersi dalla loro ferocia. Prendevano prigionieri uomini, donne e bambini per mangiarseli. Questa notizia sarebbe stata l'anticipazione dell'orrore che gli spagnoli avrebbero contemplato con i propri occhi all'arrivo nell’isola di Guadalupe, durante il secondo viaggio di Colombo.
Gli spagnoli restarono sorpresi alla vista di grandi canoe costituite da un blocco unico: enormi tronchi provenienti da alberi scavati con grande sforzo e in grado di trasportare da 60 a 80 uomini. La grandezza di queste imbarcazioni ci aiuta ad immaginare le dimensioni non comuni degli alberi da cui furono ricavate. Questi dovevano essere scelti tra quelli vicini alla riva del mare o di un fiume, altrimenti non sarebbe stato possibile trasportarli. Il nostro Navigatore paragona quelle canoe alle “fuste”, un tipo di galera diffusa nel Mediterraneo, anche se minori per dimensione. Dette imbarcazioni servirono agli indigeni per realizzare lunghi viaggi e conoscere la geografia delle isole caraibiche. Gli spagnoli avrebbero ricavato notizie sulle dimensioni delle isole che esploravano dagli indigeni che imbarcavano con loro e che svolgevano la funzione di interpreti presso i nativi della costa, grazie alla notevole conoscenza della lingua castigliana che andavano velocemente acquisendo. Attraverso di loro Cristoforo Colombo poté sapere che Cuba era di enormi dimensioni, tanto che nella Lettera annotò che era maggiore dell'Inghilterra e della Scozia messe insieme. Credeva che anche Hispaniola fosse di notevoli dimensioni, con un perimetro equivalente a quello della Spagna, misurato dalla località francese di Colliure, nei pressi di Perpignan, fino a Hondarribia nella provincia di Guipúzcoa.
Secondo l'Ammiraglio l'isola di Hispaniola, battezzata con questo nome in omaggio alla nazione che lo aveva appoggiato nella realizzazione del suo sogno, era il luogo più adeguato per insediare una popolazione. Per questo, come si legge nella Lettera, aveva fatto costruire Villa La Navidad. Tuttavia non fa cenno all'affondamento della “nao” Santa María, che si era incagliata in una vicina scogliera corallina, né tantomeno all'esigenza di costruire un forte dove lasciare i 40 uomini dell'equipaggio con armi leggere e bombarde per difendersi da un possibile attacco della popolazione dei caribe. A proposito del colore della pelle dei nativi, scrisse che non erano neri come gli abitanti della Guinea – facendo così intendere che aveva viaggiato in quel luogo – ma molto più bianchi. Come spiegazione adduce il fatto che la costa settentrionale di Hispaniola si trova a una latitudine di ventisei gradi, mentre la Guinea è molto più prossima all'equatore. Questo dato, molto vicino alla misura reale, può sorprendere il lettore più attento dato che, nel Diario del Primo Viaggio, aveva invece annotato per due volte che la costa nord di Cuba distava quarantadue gradi dalla linea equatoriale . Il fatto che nel Diario appaia un valore così distante dalla realtà ha spinto molti storici a concludere che in quel periodo Cristoforo Colombo non fosse capace di misurare la latitudine con il quadrante e l'astrolabio. Ma il fatto che, solo pochi giorni più tardi, il nostro Navigatore ci offra la latitudine reale, mi spinge invece ad affermare che l'Ammiraglio modificò intenzionalmente le rilevazioni contenute nel Diario per il timore che questo potesse cadere nelle mani dei portoghesi. La latitudine era la coordinata fondamentale per navigare fino alle isole del Nuovo Mondo. Un segreto che avrebbe voluto conoscere Giovanni II del Portogallo durante l'udienza che concesse a Colombo a Lisbona. Per questo motivo, solo quando fu certo che il rischio era passato, annotò nella lettera diretta ai Sovrani e ai funzionari della Corte la misura reale.
Oltre ai riferimenti d'obbligo alla presenza di oro, il nostro Navigatore annotò l'esistenza di altri prodotti d’interesse commerciale, come le spezie, il cotone – che gli indios filavano sapientemente e con il quale producevano amache, panni e le succinte stoffe con le quali le donne coprivano le parti intime – mastice, àloe, rabarbaro e cannella. Lo scopo era di suscitare l'interesse dei sovrani verso il profitto economico che sarebbe derivato per le finanze reali e in questo modo spingerli a inviare nelle nuove isole ulteriori spedizioni sotto il suo comando.
Nelle righe finali della Lettera, Colombo inserisce una lode ai Sovrani grazie ai quali era stato possibile l'invio della piccola flotta, ed un ringraziamento a Dio, che gli aveva concesso la gioia di portare la fede in Gesù Cristo agli abitanti di quelle lontane isole, sottolineando così nuovamente l'ispirazione religiosa del viaggio oceanico.
Il 4 marzo 1493 l'Ammiraglio entrò nell'estuario del fiume Tago, dove si trova il porto di Lisbona. Il giorno precedente si era imbattuto in una terribile tempesta che, durante la notte, fu quasi sul punto di far affondare la piccola Niña sulla quale viaggiava. Nonostante le critiche di alcuni storici, dobbiamo dire che se entrò in un porto del Portogallo non fu per il desiderio di vantarsi davanti a Giovanni II, il re che anni addietro non aveva riconosciuto il valore del suo progetto, ma piuttosto perché la tormenta aveva distrutto tutte le vele tranne una e restava quindi solo l'opzione di un attracco forzato. Una scelta che è sempre giustificata da qualsiasi navigatore in ogni epoca. D'altra parte Colombo si sentiva protetto da una lettera di presentazione, o salvacondotto, rilasciatagli dai Sovrani spagnoli che copriva qualsiasi eventualità. La lettera si esprimeva con queste parole: “A tutti i serenissimi e illustrissimi sovrani, ai loro primogeniti, consanguinei e amici nostri carissimi, ai cui mari, porti, spiagge, dominȋ, terre, città e giurisdizioni approdasse il predetto Cristoforo Colombo, noi, Ferdinando e Isabella, per grazia di Dio Re e Regina di Castiglia... con affetto e con sollecitudine, per attenzione e considerazione verso di noi, ve lo raccomandiamo e vi preghiamo non solo di accoglierlo benignamente con le caravelle e le navi che conducesse con sé, e di riceverlo nei vostri regni, principati, città piazzeforti e terre, porti e spiagge, ma anche che lo facciate entrare e gli permettiate di circolare liberamente, con le medesime caravelle e altre navi, e con le mercanzie e tutti i beni portati dallo stesso in dette imbarcazioni. Inoltre, richiesti e da lui pregati in ossequio nostro (vi chiediamo) che lo supportiate con aiuti, opere, ausilio e favore opportuni, che permettiate, ordiniate e provvediate tutte le cose necessarie per vettovagliamento e rifornimento delle predette navi...”
Da Lisbona Cristoforo Colombo inviò le lettere: quella per i Sovrani, che avevano patrocinato il suo viaggio, e quelle per Luis de Santángel, Gabriel Sánchez e per il duca dell’Infantado . Il monarca portoghese offrì la collaborazione di un messaggero reale per l'invio di una lettera ai Sovrani spagnoli. Non sappiamo se costui fu utilizzato però, ciò su cui Fernando Colombo nella sua opera Vita dell'Ammiraglio non ha esitazioni, è che suo padre scrisse ai Sovrani dalla capitale portoghese. Le lettere a Luis de Santángel e a Gabriel Sánchez, entrambi cortigiani di alto rango e assai prossimi alle loro Maestà, erano simili a quella diretta ai monarchi. L'invio attraverso differenti canali era la maniera di assicurarsi che il messaggio, il cui contenuto aveva una così alta importanza, arrivasse in una via o nell'altra a conoscenza dei Sovrani.
Luis de Santángel era uno dei funzionari più rilevanti della Corte. Nel 1481 aveva ottenuto l'incarico di Scrivano de Ración . Era incaricato del rifornimento dei viveri e di amministrare le spese dell'alimentazione della Corte, eccetto quelle derivanti dalla tavola reale. Cristoforo Colombo lo aveva conosciuto in occasione della prima udienza ottenuta dai Sovrani, svoltasi il 20 gennaio del 1486 ad Alcalá de Henares. Presto sarebbe nata un'amicizia tra i due e il funzionario si sarebbe trasformato nel principale sostenitore di Colombo, rivestendo un ruolo chiave nel convincere la Regina di quanto fosse conveniente sostenere il progetto di Colombo. Erano i giorni della prima metà di gennaio 1492 quando ebbe luogo l'udienza del nostro Navigatore davanti alla Corte in una Granada da poco conquistata. Il risultato fu negativo dato che, a causa delle richieste avanzate, Colombo ripartì a mani vuote. A quel punto ebbe luogo il brillante intervento dello Scrivano de Ración nei confronti della Regina di Castiglia, intervento che Fernando Colombo ha descritto con le parole che seguono:
“Essendo già iniziato il mese di gennaio del 1492, lo stesso giorno che l’Ammiraglio partì da Santa Fe, dispiacendo la sua partenza, tra gli altri a Luis de Santángel, …, desideroso costui di potervi rimediare, si presentò alla Regina, e con parole che gli suggeriva il desiderio di convincerla, e allo stesso tempo di rappresentarla, Le disse che si meravigliava molto di vedere come, essendo Sua Altezza sempre di animo pronto verso ogni impresa seria e importante, le mancasse ora lo spirito per affrontarne una nella quale vi era poco rischio e dalla quale poteva risultare tanto servizio a Dio e all’esaltazione della Sua Chiesa, non senza un grandissimo e glorioso accrescimento dei suoi regni e possedimenti; inoltre aggiunse che, se qualche altro principe avesse ottenuto ciò che l’Ammiraglio offriva, era evidente che al suo stato ne sarebbe derivato un danno; e in tal caso sarebbe stata a ragione gravemente rimproverata dai suoi stessi amici e servitori e censurata dai suoi nemici; che avrebbe di conseguenza provato pena per se stessa e i suoi successori ne sarebbero rimasti giustamente addolorati. Di conseguenza, dato che l’impresa sembrava avere un buon fondamento, e che l’Ammiraglio, che la proponeva, era un uomo assennato e preparato, e non chiedeva come ricompensa nient’altro che ciò che avesse trovato ed era disposto a partecipare alle spese, mettendo in gioco la sua persona, per tutto ciò non doveva Sua Altezza giudicare quell’impresa così impossibile come le dicevano i dotti di corte… A quelle parole la Regina cattolica, rendendosi conto della bontà del desiderio di Santángel, rispose ringraziandolo per il suo buon consiglio, e dicendo che era ben disposta ad accettarlo, a condizione che se ne rinviasse l’esecuzione a quando avesse avuto un attimo di respiro da quella guerra; inoltre, sebbene lui la pensasse diversamente, era pronta a utilizzare i propri gioielli per cercare qualche prestito ed ottenere la quantità di denaro necessaria a costituire tale armata. Però Santángel, visto il favore che gli faceva la Regina nell’accettare dietro suo consiglio quello che prima aveva rifiutato dietro consiglio di altri, rispose che non era necessario impegnare i gioielli, perché lui stesso avrebbe offerto un piccolo servizio a Sua Altezza prestandole il proprio denaro. Presa tale decisione, la Regina inviò rapidamente un capitano come messaggero per fare tornare indietro l’Ammiraglio.”
Come abbiamo detto, non solo Santángel convinse la Regina che fosse conveniente sostenere il progetto di Colombo, ma si offrì anche di occuparsi del suo finanziamento. L'altro destinatario della Lettera fu Gabriel Sánchez, Tesoriere della Corona di Aragona. Sebbene i documenti dell'epoca non ci offrano notizie sul suo ruolo, supponiamo che dovette essere simile a quello svolto da Luis de Santángel.
Colombo scrisse anche al duca di Medinaceli, che tanto lo aveva appoggiato durante i tempi difficili dell'attesa in Castiglia e nella cui casa del Puerto di Santa Maria si era alloggiato per due anni. La missiva fu indirizzata al villaggio castigliano di Cogolludo, dove il duca possedeva un bellissimo palazzo rinascimentale. Sebbene il documento non sia arrivato ai nostri giorni, abbiamo la prova della sua esistenza dalla corrispondenza incrociata con il Cardinale Pedro González de Mendoza, arcivescovo di Toledo, nella quale si fa riferimento ad essa. Con questa abbiamo la conferma che furono quattro le lettere inviate da Cristoforo Colombo da Lisbona. In quell'epoca l'invio dovette risultare costoso, ma ciò non trattenne il nostro Navigatore, che poteva pagare con l'oro che portava con sé.
Quando la Lettera di Colombo arrivò a Corte, i Sovrani erano già a conoscenza dell’esito positivo della spedizione oceanica. Dal villaggio di Bayona, un piccolo porto di pescatori situato nella Ria di Vigo , Martín Alonso Pinzón aveva scritto ai Sovrani comunicando la felice notizia . Ricordiamo che il capitano palermo , al comando della Pinta, aveva iniziato il ritorno da Hispaniola accompagnando la Niña, sulla quale viaggiava l’Ammiraglio e il cui capitano era Vicente Yañez Pinzón, il fratello di Martín Alonso. Le due caravelle avevano navigato insieme durante la prima parte del viaggio di ritorno, però il giorno 12 febbraio furono raggiunte da delle forti tormente che resero via via più difficile navigare insieme fino a quando, nella notte del 14 febbraio, a causa delle alte onde, persero il contatto visivo. Non si sarebbero più rivisti fino all’attracco di entrambi a Palos de la Frontera, un mese più tardi. Sappiamo dell’esistenza della lettera di Pinzón da Jerónimo Zurita, cronista di Aragona.
Secondo fra’ Bartolomeo de Las Casas, l’Ammiraglio inviò da Siviglia una lettera al Re e alla Regina, che si trovavano a Barcellona. Crediamo che si trattasse di una seconda lettera per mezzo della quale chiedeva l’autorizzazione a recarsi presso la Corte per essere ricevuto in udienza dai Monarchi. I Sovrani risposero al nostro Navigatore per mezzo di una lettera inviata da Barcellona il 30 marzo 1493.
La Lettera con la quale Cristoforo Colombo annuncia la scoperta del Nuovo Mondo risulta datata “15 febbraio 1493”, a bordo della caravella, nei pressi dell’isola di Canaria, ma non crediamo che ciò corrisponda a verità. Non possiamo dire esattamente quando e dove venne realmente scritta la Lettera, ma crediamo che la data non possa assolutamente essere quella riportata, in quanto in quella data la Niña si trovava nel pieno della tormenta e in tali condizioni sarebbe stato impossibile scrivere. Tantomeno la caravella poteva trovarsi nei pressi delle isole Canarie, ma piuttosto dell’arcipelago delle Azzorre, come risulta dal Diario.
L’Ammiraglio, da uomo previdente qual era, da molti mesi aveva ben chiaro che doveva preparare una breve relazione per i Monarchi che lo avevano inviato, informandoli delle scoperte compiute. Crediamo che ne abbia iniziato la redazione durante il ritorno, nelle giornate in cui il tempo era più sereno e poteva contare sulla tranquillità del mare necessaria per la stesura. Addirittura potrebbe aver cominciato durante gli ultimi giorni di permanenza a Hispaniola, quando la caravella veniva dolcemente cullata dalle acque tranquille dei fondali che il suo istinto nautico gli aiutava a scegliere, al riparo dal mare aperto e dal vento. Attraverso le pagine del Diario sappiamo che il 16 gennaio del 1493 partì dal Golfo de la Flechas, sulla costa settentrionale di Hispaniola. Fino al giorno 12 di febbraio, quando lo raggiunge la tormenta, navigarono con mare favorevole. Era trascorso quasi un mese, durante il quale c’erano stati anche momenti di bonaccia, una condizione ideale per scrivere.
Abbiamo visto come l’Ammiraglio preparò una Lettera per i Sovrani, che in seguito copiò in due esemplari, rispettivamente per Luis de Santángel e Gabriel Sánchez, che si trovavano presso la Corte, più un terzo per il duca di Medinaceli. Mentre scriveva utilizzava il Diario, dal quale estrapolava i passaggi più interessanti ed esotici. La scelta dei temi da trattare e lo sforzo per catturare l’interesse dei lettori rivelano l’influenza di Marco Polo. Non per nulla l’Ammiraglio aveva letto varie volte Il Milione, come anche il Libro delle meraviglie del mondo di John Mandeville dove si descrivono le regioni del lontano Oriente. Fra i libri della sua biblioteca Fernando Colombo ci ha lasciato un esemplare de Il Milione di Marco Polo appartenuto al padre , sui cui margini si possono vedere numerose annotazioni di pugno di Colombo, a testimonianza di una lettura approfondita. Non deve stupire che il futuro Ammiraglio s’interessasse e accedesse a questi e altri libri di viaggi: non dobbiamo dimenticare che era un lettore vorace ed era stato lui stesso venditore di libri a stampa durante gli anni della sua permanenza in Castiglia in attesa che i monarchi accettassero di finanziare il progetto.
Questi quattro esemplari non furono gli unici che il nostro Navigatore scrisse in quei giorni. Ci furono infatti altri due documenti che dovette redigere e della cui esistenza sappiamo attraverso le pagine del Diario del Primo Viaggio. Ci riferiamo a quelli che furono preparati per essere affidati al mare nel caso la caravella Niña fosse affondata in mezzo alla tormenta. Il 14 febbraio, quando le onde si accanivano con maggior furia contro la piccola caravella, la situazione a bordo si fece così tesa che l’equipaggio decise di invocare l’aiuto del Cielo. Servendosi di un bonete al cui interno erano stati posti alcuni ceci, su uno dei quali era dipinta una croce, si tirò a sorte tra i membri dell’equipaggio a chi toccasse recarsi in pellegrinaggio ai santuari di Guadalupe (Estremadura), Santa Maria di Loreto (Ancona, Italia) e Santa Clara di Moguer (Huelva). Nel primo e nel terzo caso la sorte cadde sull’Ammiraglio, mentre nel secondo toccò a un marinaio chiamato Pedro de Villa, cui Colombo si offrì di pagare il viaggio. In quella circostanza l’Ammiraglio prese anche una precauzione supplementare. Preparò una pergamena sopra la quale scrisse quanto poté sulla scoperta del Nuovo Mondo da lui compiuta. La pergamena era indirizzata ai Sovrani e si chiedeva, a chi l’avesse trovata, di portarla a Corte con la promessa di una ricca ricompensa. Venne avvolta in un panno cerato e poi legata strettamente affinché non vi entrasse l’acqua. Fu quindi introdotta in un barile di legno, di quelli utilizzati a bordo per l’acqua, che venne abbandonato in mare . A qualche ora di distanza preparò una seconda copia, contenente le medesime informazioni, la quale, collocata all’interno di un blocco di cera vergine, fu introdotta in un secondo barile. In questo caso il barile non fu tirato in mare, bensì legato alla parte più alta della poppa della Niña con la speranza che, in caso di affondamento, il barile restasse a galla e venisse poi recuperato .
Il 15 marzo del 1493, a mezzogiorno, la Niña fece la sua entrata nel porto fluviale di Palos de la Frontera. Alcune ore più tardi entrava anche la Pinta di Martín Alonso Pinzón. L’Ammiraglio aveva deciso che si sarebbe recato a Barcellona per presentarsi davanti ai Sovrani, un atto dovuto nei confronti di coloro che avevano patrocinato la sua spedizione. Considerò se gli convenisse viaggiare per mare ma, conoscendo la climatologia sfavorevole durante la stagione invernale lungo le coste catalane, prese la decisione di intraprendere il viaggio per via di terra. Oltre alla maggior sicurezza, compiere il tragitto terrestre presentava il vantaggio che con il suo passaggio si sarebbe diffusa, tra le popolazioni che attraversava, la notizia della sua impresa. Partì da Palos alla fine di marzo o all’inizio di aprile accompagnato da un’esotica comitiva che contava, tra i suoi componenti più esotici, sei indios provenienti da quelle terre lontane, oltre a pappagalli dai colori vivaci e a splendidi gioielli d’oro. Nel cammino attraversarono le città di Siviglia, Cordoba, Murcia, Valencia, Tortosa e Tarragona, così come numerosi altri paesi e villaggi, lasciando una vivida impressione negli abitanti. Arrivarono a Barcellona tra il 15 e il 20 di aprile del 1493. In quei giorni il re Fernando si era già rimesso completamente da una coltellata al collo, ricevuta alcuni mesi prima da un contadino, la quale, se non gli era costata la vita, era solo perché il colpo era stato deviato dal pesante collare che portava al petto.
Bartolomeo de Las Casas ci ha lasciato l’unico resoconto di come fu l’accoglienza di Cristoforo Colombo a Corte. Il nostro Navigatore fu ricevuto con grandi onori; i Sovrani erano entusiasti per il trionfo della spedizione che ampliava di nuovi territori il regno di Castiglia. Per parte sua l’Ammiraglio non stava in sé dalla gioia. Era il momento così a lungo sognato, quando finalmente tutti i dubbi e i timori sparivano: le preoccupazioni e le sofferenze che aveva patito durante gli anni di attesa venivano ricompensate e l’incredulità con cui i cortigiani lo avevano ascoltato in precedenza era ormai sparita.
I Sovrani fecero eccezionalmente sedere Cristoforo Colombo davanti a loro e gli chiesero di raccontare le esperienze da lui vissute durante il viaggio. Isabella e Ferdinando ascoltavano meravigliati, accompagnando con commenti quasi increduli il racconto dei momenti più significativi. Gli indios, i pappagalli variopinti, gli strani semi, l’oro e gli altri numerosi oggetti che provenivano dalle terre appena scoperte erano la prova incontrovertibile che non stava mentendo e lui li mostrava con orgoglio a tutti coloro che, tempo addietro, lo avevano giudicato un illuso e un imbroglione.
Il giorno seguente l’Ammiraglio poté accompagnare il corteo reale e gli fu concesso l'onore di occupare il posto immediatamente dietro ai Sovrani e all’erede al trono, il principe Giovanni. Si celebrarono in quei giorni banchetti in suo onore e i numerosi ammiratori tessevano le lodi del suo trionfo in ogni angolo della popolosa città mediterranea.
Un’attenzione particolare fu dedicata da parte dei Sovrani ai sei indios portati da quelle lontane terre; furono battezzati, come era loro esplicito desiderio, e ai primi furono dati i nomi dei sovrani. Uno fra essi ricevette il nome di Giovanni di Castiglia, come il Principe, e venne accolto nel Palazzo Reale come fosse il figlio di un nobile in più, potendo così ricevere un’educazione molto accurata. Tutti sarebbero ritornati al Nuovo Mondo con il secondo viaggio di Colombo, eccetto quello che restò con il Principe .
Nella bella città mediterranea si celebrarono feste e banchetti per festeggiare il successo della spedizione: nel primo di quei banchetti i Sovrani concedettero all’Ammiraglio l’onore della salva: una curiosa usanza di quell’epoca consistente nel fare assaggiare previamente i piatti destinati ai personaggi importanti: una forma elementare di precauzione per prevenire i frequenti casi di avvelenamento, fortuiti o intenzionali che fossero.
Fino a quel momento solo la Corte spagnola, quella del sovrano portoghese e le persone che avevano assistito al passaggio della comitiva di Colombo mentre attraversava la Spagna da Siviglia a Barcellona, conoscevano la notizia della scoperta di terre lontane. Era necessario che questa si propagasse per le città della Castiglia e di Aragona e che arrivasse a tutti gli altri paesi europei. Secondo Bartolomeo de Las Casas, i Sovrani decisero che si dovesse diffondere la notizia per tutta la Cristianità e la miglior maniera di farlo era per mezzo della stampa. La prima edizione a stampa della Lettera ebbe luogo a Barcellona e, sebbene nel documento non figuri la data, dovrebbe risalire all’aprile del 1493. Il testo, scritto in castigliano dell’epoca, fu ricavato dalla missiva che il nostro Navigatore aveva diretto a Luis de Santángel e si stampò in un opuscolo di quattro pagine nel formato in folio. Secondo le osservazioni dello storico José María Asensio, confrontando i caratteri tipografici con altre opere dello stesso periodo possiamo dedurre che dovette uscire dalla stamperia di Pere Posa. Più tardi anche il bibliofilo tedesco Conrad Haebler arrivò alla medesima conclusione.
Carlos Sanz, che possiede un’ampia conoscenza dell’argomento per aver pubblicato diversi studi dedicati alla Lettera di Colombo, ha evidenziato la scarsa qualità di questa prima edizione uscita dalla stamperia barcellonese di Pere Posa. Definisce il lavoro come grezzo e approssimativo, assolutamente inadeguato all’importanza della notizia che conteneva. Aggiunge che la redazione conteneva molti catalanismi ed era costellata di errori tipografici . Andrés Bernáldez fu l’unico storico contemporaneo a citare l’esistenza della Lettera di Colombo in castigliano. La trascrisse anche nella sua opera , la cui redazione terminò nel 1513, ma che venne stampata solo tre secoli dopo (1856).
Non sappiamo quale fosse il numero degli esemplari di quella prima edizione barcellonese, uno solo dei quali è arrivato fino ai nostri giorni. Questo unico sopravvissuto, nonostante i difetti evidenziati da Carlos Sanz, è considerato un documento di altissimo valore e, dopo aver passato vari anni riposando negli scaffali della Lenox Library, è attualmente conservato presso la New York Public Library.
La Lettera nella quale Colombo annuncia la Scoperta del Nuovo Mondo fu tradotta in latino dal chierico aragonese Leandro de Cosco il 29 aprile 1493 per essere stampata a Roma verso la metà del mese di maggio da Stephanus Plank. Il chierico prese come fonte il testo della lettera diretta a Gabriel Sánchez. E’ curioso notare che, in questa prima edizione latina, Ferdinando di Aragona appare come unico patrocinatore del viaggio di Colombo, errore che venne corretto nelle edizioni seguenti a cura nuovamente di Planck e di Eucharius Argenteus (chiamato anche Frank Silver), stampate nuovamente a Roma. Dopo queste tre stampe a Roma, con lo stesso testo latino e nello stesso anno 1493, ne venne alla luce una ad Anversa, un’altra a Basilea e tre a Parigi. L’anno seguente ne sarebbe uscita una ulteriore a Basilea. Si raggiungevano così le nove edizioni in latino, che assicuravano la diffusione della notizia nei paesi europei.
Nell’anno 1497, a Strasburgo, la Lettera fu stampata in tedesco. In quello stesso anno sarebbe uscita la seconda edizione in castigliano, da una tipografia di Valladolid. Ci furono anche stampe in italiano, preparate a partire dalla traduzione in latino di Leandro de Cosco. La prima di esse, con un poemetto in rima di Giuliano Dati ispirato al testo di Colombo, venne alla luce a Roma il 25 giugno del 1493. In ottobre di quello stesso anno, sempre con il poemetto di Dati, si stamparono quattro edizioni a Firenze. Per l’enorme diffusione che ebbe, possiamo affermare che la traduzione in latino di Leandro de Cosco ebbe molta maggiore importanza del testo originale in castigliano. Oltre alle precedenti, è esistita anche una Lettera in catalano di cui non sappiamo la data precisa, dato che non se ne conserva alcun esemplare. Della sua esistenza, come ha dimostrato Carlos Sanz, abbiamo testimonianza grazie all’Abecedarium dei libri appartenuti a Fernando Colombo .
In totale, nei soli cinque anni tra il 1493 e il 1497, le edizioni arrivano a diciotto, provenienti da stamperie di Barcellona, Roma, Anversa, Parigi, Basilea, Strasburgo, Firenze, e Valladolid nelle differenti lingue: spagnolo, italiano, latino, tedesco e catalano. Un tale numero di edizioni in un tempo così ridotto ci indica l’enorme interesse che suscitò la notizia della scoperta di Colombo negli altri paesi europei. L’uso della stampa, la cui prima tipografia si era installata in Spagna solamente venti anni prima , ricoprì un’importanza speciale in quanto fu il fattore determinante per la diffusione della notizia. Dobbiamo però anche tenere in considerazione che, oltre alle edizioni a stampa uscite dalle tipografie delle principali capitali europee, vi furono innumerevoli copie manoscritte realizzate nelle località dove non vi erano stamperie e che circolarono facilmente nelle città e nei paesi di piccole dimensioni contribuendo a diffondere la notizia delle nuove terre con una sorprendente rapidità.
La lettura della Lettera di Colombo provocò un’autentica commozione tra i lettori europei e la notizia si diffuse in tutta Europa a una grande velocità. Nel frattempo, in Castiglia, i Sovrani decisero di iniziare i preparativi per una seconda spedizione, che permettesse la fondazione di una città e cominciarono una manovra diplomatica presso il Papa Alessandro VI. Il loro obiettivo era che il Santo Padre aggiudicasse ai Re Cattolici la proprietà esclusiva delle isole scoperte. Attraverso Cristoforo Colombo i Sovrani spagnoli sapevano che Giovanni II aveva intenzione di reclamare tutte le terre che si trovassero a sud del parallelo delle Canarie, situate nei 26 gradi di latitudine Nord. Per difendere i suoi diritti, il re portoghese aveva inviato l’ambasciatore Ruy de Sande presso la Corte di Castiglia.
Il re del Portogallo basava la sua pretesa sull’applicazione favorevole ai suoi interessi del trattato di Alcaçovas-Toledo, nel quale i due regni avevano concordato che al Portogallo spettasse il diritto di esplorare in esclusiva tutto lo spazio africano situato a sud dell’arcipelago delle Canarie. Nel trattato, però, non si diceva nulla delle nuove isole che fossero state scoperte nell’Oceano.
Isabella e Ferdinando, che presso la corte portoghese avevano numerosi informatori, avevano ricevuto notizia, negli ultimi anni, del progresso delle esplorazioni portoghesi, per quanto la segretezza adoperata dal re tentasse di impedirlo. Avevano visto come, dalla firma del trattato nel 1479, i navigatori portoghesi erano avanzati lungo la costa africana fino a che, nel 1487, Bartolomeo Diaz, aveva doppiato il capo di Buona Speranza, estremo meridionale del continente africano. Soprattutto erano coscienti della limitazione che l’applicazione di detto accordo aveva supposto per la Castiglia. Mentre infatti i portoghesi avevano avuto la via aperta per le loro esplorazioni africane, queste erano rimaste interdette ai castigliani, il cui raggio di azione rimaneva circoscritto alle navigazioni verso le isole Canarie.
Se ora, grazie a Cristoforo Colombo, erano state scoperte nuove isole al di là dell’Oceano, i Re Cattolici avevano recuperato la possibilità di manovra per nuove esplorazioni all’altra sponda dell’Atlantico. Pensavano che queste avrebbero potuto adeguatamente compensare i progressi portoghesi in Africa e non erano disposti a condividere le loro proprietà con il regno vicino. Per questo si adoperarono per ottenere un nuovo accordo da applicare al nuovo scenario geografico, molto diverso dal precedente e nel quale fosse riconosciuta alla Castiglia la proprietà esclusiva delle terre del Nuovo Mondo, accettando di buon grado che quanto esplorato dal Portogallo in Africa restasse di proprietà dei portoghesi, in virtù del trattato precedente. L’opinione generale alla corte di Castiglia era che la cosa più adeguata fosse una ripartizione dello spazio oceanico per mezzo di un meridiano situato al massimo poco oltre le isole Azzorre, che dividesse l’Oceano in due parti, assegnando ai castigliani le isole e le terre situate ad ovest di quella linea.
In quell’epoca l’autorità del Papa, in quanto successore di San Pietro alla guida della Chiesa di Roma, comprendeva molti aspetti, non solo religiosi, della vita quotidiana dei sudditi dei regni europei. In occasioni precedenti Portogallo e Spagna erano ricorsi all’arbitrato del Papa per risolvere conflitti di natura geografica, poiché gli si riconosceva l’autorità di assegnare terre al sovrano di un determinato regno, a condizione che non appartenessero già a nessun altro principe cristiano. Così era successo nel 1455, quando il papa Nicolò V, per mezzo della bolla Romanus Pontifex, concesse ai portoghesi le isole, i porti, le coste e i mari che fossero stati scoperti al di là del capo Bojador. Proprio all’autorità del Papa ricorsero nuovamente i Sovrani spagnoli, sollecitando quello che attualmente si definirebbe come un arbitrato internazionale, con il quale venisse loro assicurata la proprietà esclusiva dei territori scoperti da Colombo.
Dalle trattative diplomatiche portate a compimento presso la Santa Sede nacquero le tre Bolle Inter Coetera, del 3 e 4 maggio 1493. Anche se può essere che qualcuno di questi documenti papali sia stato redatto posteriormente, tutti portano la data dei primi giorni del mese di maggio, con lo scopo di non sollevare i sospetti del re portoghese. Più tardi saranno completati dalla Bolla Dudum Siquidem, del 26 di settembre. In queste Bolle si attribuirono alla Castiglia le isole e le nuove terre scoperte o ancora da scoprire che si trovassero a partire da 100 leghe ad ovest delle isole Azzorre. Inoltre, nell’ultima Bolla, si concedeva alla Spagna la possibilità di ampliare la propria zona fino all’India, a patto che lo facesse navigando sempre verso ovest e che i portoghesi non vi fossero arrivati prima. Questo diede vita a una corsa tra i due regni per arrivare per primi alla meta.
Le Bolle papali costituirono un trionfo diplomatico, ottenuto grazie all’abilità del re Ferdinando di Aragona e favorito dal fatto che il Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borja (o Borgia come lo conosce la Storia), era di origine spagnola.
La Lettera di Colombo fece sì che molti desiderassero viaggiare verso le nuove terre, considerate come un paradiso dal clima gradevole, popolato da genti che si dimostravano amabili e rispettose verso gli spagnoli e le cui isole erano ricche di oro e pietre preziose che si potevano raccogliere con poco sforzo. La prospettiva era talmente invitante che furono molti coloro che si misero in lista per partire con la spedizione di diciassette navi che si stava preparando nel porto fluviale di Siviglia. Incaricato dell’organizzazione era il vescovo Juan de Fonseca, che si dedicò a riunire gli uomini, gli animali e le attrezzature che sarebbero stati imbarcati. In totale furono duemila, ai quali vanno sommati cinquecento uomini di equipaggio, coloro che avrebbero viaggiato verso il Nuovo Mondo. Una specie di anticipazione di quella corsa all’oro che si sarebbe prodotta secoli dopo in California. Una visione idealizzata delle nuove terre, che solo l’esperienza diretta avrebbe permesso di ricondurre alla realtà.
Grazie alla Lettera, Cristoforo Colombo raggiunse una notorietà universale, cosa non facile da ottenere in vita. Il racconto acquisì una grande fama dato che il primo viaggio di Colombo è, probabilmente, l’avventura più bella che un navigatore abbia mai portato a termine. Grazie all’enorme diffusione della Lettera, il nome di Colombo, insieme a quelli della regina Isabella di Castiglia e del re Ferdinando II di Aragona, patrocinatori del suo progetto, furono occasione di discussioni nei luoghi più reconditi d’Europa. Senza rendersene conto, il nostro Navigatore aveva realizzato la migliore propaganda della propria impresa. Forse non tutti a quel tempo ne erano coscienti, ma erano state scritte le pagine più significative della Storia Universale. Qualche anno dopo Francisco López de Gómara , nella sua Storia Generale delle Indie, avrebbe scritto:
La maggior cosa dopo la Creazione del mondo, togliendo l’incarnazione e la morte di colui che lo creò, è la scoperta delle Indie: e perciò lo chiamano Nuovo Mondo
L’esemplare che ora ha tra le mani è un’edizione facsimile di quella che fu stampata a Barcellona, nel 1914, dal tipografo Eudall Canibell, il quale volle mantenere i caratteri gotici del XV secolo, propri di quella editio princeps stampata quattrocento anni prima nella stessa città. Le somiglianze però finiscono qui, dal momento che contro la semplicità della prima Lettera pubblicata nel 1493, Canibell volle preparare un’opera di grande formato, presentata in un unico foglio su supporto di grande qualità, che volle abbellire con una straordinaria decorazione colorata che incornicia il testo. Tra i motivi vegetali che la adornano è stato incluso, nella parte inferiore, lo scudo dei Re Cattolici. Questo è accompagnato ai lati dalla “Y” di Isabella I di Castiglia e dalla “F” di Ferdinando II di Aragona, entrambe su uno sfondo costituito da un cuore di melograno, come simbolo della città di Granada, la cui presa nel 1492, dopo la sconfitta del re Boabdil, segnò la fine del lungo periodo della Riconquista. Non poteva però mancare il riferimento al Navigatore che portò a termine l’impresa di attraversare per la prima volta l’Oceano per arrivare alle lontane terre di un Nuovo Mondo. Nel lato sinistro della cornice figura lo scudo d’armi che i Sovrani concedettero a Cristoforo Colombo a Barcellona alla fine di marzo del 1493, nel quale i due quarti superiori sono occupati dalle armi reali di Castiglia (un castello) e León (un leone rampante), mentre nei due inferiori figurano le isole scoperte e le àncore di Ammiraglio delle Indie, ai quali Colombo aggiunse nel vertice inferiore le armi della sua famiglia. Lo circonda il lemma Per la Castiglia e per León un nuovo mondo Colombo trovò. Nel lato destro della cornice appare la firma che l’Ammiraglio utilizzava nei suoi scritti e nei suoi documenti.
La pubblicazione di una così bella opera è l’omaggio migliore che possiamo rendere alla figura del grande Navigatore Cristoforo Colombo, in occasione del DXXV anniversario della Scoperta del Nuovo Mondo.
Cristóbal Colón XX
Duca di Veragua e Ammiraglio delle Indie.
traduzione a cura del professor Michele Cunico
Nota del traduttore: per facilitare la comprensione, si è scelto di aggiungere alcune note esplicative riguardo termini di carattere nautico, amministrativo e geografico, altrimenti non facilmente comprensibili al lettore italiano.